Il Racconto ha vinto il Primo Premio al Concorso Barbanoir, 1° ed.

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La Festa dell’Imperatore

Era la notte della Festa. Midgîna celebrava la propria liberazione e il trionfo del Barbarossa su Bononia. Alti falò allungavano le ombre degli uomini su mura sbrecciate e tende da campo. L’Imperatore era malato, si diceva, e riposava, ma aveva ordinato che la Festa proseguisse. Grandi spiedi erano colmi di carni che arrostivano sul fuoco diffondendo l’odore del grasso sfrigolante. Cipolle e legumi bollivano in pentoloni fumanti. La vinaccia e il sidro bruciavano nelle gole. Canti e danze risuonavano ovunque.

Due figure discrete si muovevano all’ombra della Festa. Una gitana dal volto pieno, con una cicatrice irregolare sotto l’occhio sinistro, camminava al fianco di un vecchio piegato in due da una gobba prominente. Il volto di questi era un orrore di piaghe da ustione, che una lurida barbaccia nera non riusciva a nascondere.


Un villico gemeva dietro una siepe con un braccio ritorto in maniera orrenda. La sua bocca era un foro osceno sfondato dai calci, da cui usciva un flebile lamento. Una donna grassa e dal naso adunco piangeva sommessamente accanto a lui, cercando di ripulirgli il volto pesto. Era un porcaio, spiegò alla gitana, metà delle bestie gliele avevano rubate i miliziani di Bononia, le altre dovevano essere tenute all’ingrasso per l’inverno imminente. Una dozzina di soldati imperiali, però, le aveva reclamate: quella era la notte della Festa. Lui aveva osato rifiutarsi. Ora i maiali arrostivano nei pressi del campanile, mentre lui aveva perso i denti e il suo braccio non sarebbe mai guarito. La gitana e il gobbo proseguirono.

Dietro un muro, un piccolo corpo martoriato era incatenato ad un palo. Un armigero dal volto brutale sedeva accanto al cadavere. Spiegò alla gitana che aveva l’ordine di impedire che la salma venisse seppellita. La vittima aveva come unica colpa l’essere figlio di uno dei capitani bononiensi che aveva guidato la demolizione delle mura di Midgîna. Il padre era caduto in battaglia, lui era stato catturato. Non poteva avere più di dieci anni. I popolani avevano infierito sul corpicino con rara ferocia. La gitana e il gobbo proseguirono.

Due armigeri ubriachi trascinavano una ragazzetta in lacrime dietro un pezzo delle mura antiche. Un preda di guerra. La gitana esitò un istante, poi li seguì sfuggendo alla mano del gobbo. I soldati stavano già scoprendo i piccoli seni della giovane, tra risa sguaiate, quando giunse la donna. Brandiva un pezzo di legno mezzo bruciato e ordinò ai salvatori di Midgîna di lasciare la piccola, ma ottenne solo sguardi astiosi, carichi di lussuria.

Il primo soldato snudò la spada. Legno e ferro si incontrarono e la gitana si ritrovò in mano un inutile moncone. L’uomo non poté osare oltre: il gobbo parve comparire da nulla e così il suo bastone che fendette l’aria in un istante. L’armigero cadde a terra privo di sensi. Il suo compagno abbandonò la presa sulla piccola e stava per sguainare la spada quando la mano del vecchio gli serrò il polso in una presa d’acciaio, poi con l’altra mano agì di scatto sul gomito del soldato slogandogli il braccio. Un calcio allo sterno fece precipitare l’armato in un denso oblio, l’ultima cosa che vide fu la ragazzina che scappava. Il gobbo e la gitana erano già scomparsi.

L’interno della grande tenda imperiale era una cornucopia di tesori, ma Federico I° Hohenstaufe li ignorò dismettendo in fretta i panni lerci e la finta gobba di stoffa. La gitana lavò via l’inchiostro nero dalla barba con l’acqua calda, poi usò l’aceto per sciogliere dal viso la cera e le tinture dei falsi segni di ustione.

– Perché lo fate, mio Signore? – Chiese la donna, asciugandogli il viso. – Perché travestirvi e vagare tra il popolo? –

– Non sono il primo imperatore a farlo. – Rispose lui. – Guai se governante e governati finissero per distaccarsi troppo: non ci sarebbe alcun futuro. Inoltre devo comprendere i risultati delle mie scelte, i limiti del mio potere… e tu hai messo a rischio tutto questo! – La mano dell’Imperatore scattò fulminea afferrando una daga. La punta di metallo finì all’altezza del sottile collo della gitana. Lei ebbe appena un sussulto e la cicatrice sulla guancia si contrasse assieme alla pelle, come una piccola serpe.

– L’ordine era di accompagnarmi e accertarti che nessuno mi riconoscesse, ignorando tutto il resto. – La voce del monarca era gelida. – Quando ti sei parata contro le mie guardie hai posto entrambi in pericolo. Perché mi hai disobbedito? –

Le labbra rosse si schiusero. – Proprio per mostrarvi i limiti del vostro potere, mio Signore. – Il taglio serpentino pareva muoversi davvero quando lei sorrideva.

Federico I° fissò la gitana, meditando sulla quella risposta.


La mezzanotte era appena scoccata quando l’Imperatore, finalmente sanato, comparve all’improvviso tra i suoi uomini. La Festa raggiunse il culmine tra canti, commemorazioni e ballate. A quanti gli chiedevano dell’improvvisa guarigione Federico si limitava a sorridere. Solo ad alcuni accennò, enigmaticamente, ad una serpe.